L’olio d’oliva è uno dei pochi alimenti le cui caratteristiche e le cui qualità sono rimaste inalterate nell’arco dei millenni.
Esso, insieme a vino e a grano, può essere considerato il cuore della cultura alimentare di tutti i paesi mediterranei. Non è un caso se viene considerato uno degli alimenti cardine della dieta mediterranea, ufficialmente iscritta dal novembre del 2010, nella lista rappresentativa del Patrimonio culturale immateriale dell’Umanità.
Oggi l’olio d’oliva sta vivendo un periodo di grande rivalutazione ed interesse soprattutto da quando le sue proprietà salutistiche, in ambito sia terapeutico e preventivo delle patologie legate all’invecchiamento, sono state universalmente riconosciute. Ma l’olio d’oliva è molto più di un alimento con eccezionali proprietà salutistiche.
L’attribuzione di significati simbolici e religiosi, nonché le sue celebrazioni artistiche e letterarie, hanno fatto dell’olio d’oliva un vero e proprio archetipo culturale.
Simbolo di fertilità e rinascita, di resistenza alle ingiurie del tempo, di pace e di valore, l’olivo e l’olio da esso prodotto, hanno rappresentato nella mitologia, nella religione e nelle cerimonie sacre, elementi naturali di forza e purificazione.
L’importanza della pianta d’ulivo trova la sua più alta consacrazione nella Bibbia, quando la fine del Diluvio Universale viene simboleggiata dal volo di una colomba bianca che porta nel becco un ramoscello di questa portentosa pianta.
Nell’antica Grecia, gli atleti vincitori di gare sportive venivano fregiati da una corona di rami d’olivo intrecciati e veniva dato loro in dono un’ampolla piena d’olio. Addirittura Omero, antico poeta greco, soleva definire l’olio d’oliva come “oro liquido”.
Anche i romani insignivano il capo dei cittadini più valorosi con una corona di ramoscelli d’olivo.
Storia e sviluppo della cultura dell’olio
Le radici della cultura dell’ulivo risalgono alla preistoria nel momento in cui le popolazioni cominciavano il loro lento e rivoluzionario processo di civilizzazione, la cui tappa fondamentale fu proprio l’addomesticazione di specie animali e vegetali autoctone che trasformò quei popoli nomadi in popoli sedentari.
Originaria dell’Asia minore, la pianta dell’ulivo si diffuse verso Occidente fino ad estendersi in tutto il bacino del Mediterraneo grazie ai Fenici e ai Greci. Qui la coltivazione dell’olivo, grazie al clima e alla fertilità della terra, conobbe una grande diffusione e l’utilizzo della pianta e del suo frutto trovarono così tante applicazioni che l’olivo divenne ben presto indispensabile.
In Italia, grazie ai Greci, la coltivazione dell’ulivo si diffuse principalmente nei territori della Magna Grecia. È con i Romani che l’ulivo si diffonde in tutta Italia ed oltre, tanto che ben presto l’olio d’oliva divenne uno degli elementi più richiesti in tutto il territorio imperiale sia per l’illuminazione che in gastronomia.
Evoluzione ed utilizzo dell’olio dall’antichità ai giorni nostri
Anticamente oltre che in cucina l’olio d’oliva trovava un vasto utilizzo in medicina..
Ippocrate di Coo (460 a.C), padre della medicina occidentale, fu probabilmente il primo medico a comprendere le virtù terapeutiche dell’olio d’oliva. Teofrasto (371 a.C.), scienziato e filosofo successore di Aristotele, considerato il più grande botanico dell’antichità, fa spesso riferimento all’olio d’oliva ed alle sue virtù terapeutiche nei suoi scritti. Dioscoride Pedanio, medico naturalista greco del I secolo d.C., descrive per la prima volta in chiave scientifica, i benefici associati ai possibili utilizzi dell’olio di oliva . Tra i latini i primi a descrivere le azioni medicamentose e le caratteristiche salutistiche dell’olio d’oliva furono Catone e Plinio il Vecchio.
Tuttavia nell’antichità l’olio d’oliva era usato principalmente come combustibile per le lampade notturne. L’etimologia delle parole luce e lampada, infatti, in quasi tutte le lingue deriva dal greco elaion che vuol dire olivo. Infatti, sebbene l’olivocultura esigesse molte cure e costi di lavorazione elevati, i proprietari degli oliveti erano sempre ben ripagati dal largo uso che si faceva del loro prodotto durante i giochi, le manifestazioni religiose ed i riti funebri.
In cucina, l’olio d’oliva rappresentava un alimento fondamentale insieme al vino ed al grano benché il suo utilizzo, ad esclusione di una breve parentesi durante la lunga epoca imperiale, fu prevalentemente appannaggio delle classi agiate. Dalla lettura del De re coquinaria di Marco Gavio Apicio, uno dei testi più importanti per lo studio della cucina romana in epoca imperiale, appare evidente che il 60% delle ricette trascritte dal gastronomo latino lo prevedono tra gli ingredienti fondamentali.
Con la decadenza dell’Impero Romano d’Occidente, tuttavia, la produzione di olio d’oliva subì una drastica riduzione che non mancò di avere gravissime ripercussioni sull’alimentazione del popolo romano.
Per assistere ad una timida ripresa della sua produzione si deve aspettare il Medioevo quando, grazie ai monaci benedettini e cistercensi, vennero promosse numerose azioni di recupero delle coltivazioni autoctone favorendo, tra le colture più redditizie, proprio quella dell’ulivo. In questo periodo la produzione di olio d’oliva era scarsa e per lo più era destinata alla combustione per le lampade utilizzate a scopo sacrale. Questa circostanza rese l’olio d’oliva un alimento raro e quindi prezioso, al punto da essere spesso utilizzato come merce di scambio e la sua presenza sulle tavole era limitata ai banchetti dei ricchi e delle autorità religiose.
Dai piccoli conventi dei monaci, a poco a poco, la coltura dell’ulivo si diffuse progressivamente in tutta l’Italia e poi nei paesi confinanti grazie, soprattutto, allo sviluppo dei commerci, favorito dall’affermarsi delle Repubbliche Marinare. Fu così che ben presto tutti i Paesi che si affacciavano sul Mediterraneo ritornarono a coprirsi di oliveti ed il commercio dell’olio raggiunse nuovamente l’importanza che aveva toccato nel passato.
L’olio d’oliva rientrò ben presto come protagonista incontrastato nelle ricette dei libri di cucina ed a partire dal XVII secolo la coltivazione dell’ulivo in Italia si estese così tanto che gli uliveti divennero, soprattutto nel Sud Italia, una caratteristica paesaggistica di molte regioni e lo sono tutt’ora.
Alcune di queste coltivazioni grazie alla loro bellezza e maestosità sono state addirittura dichiarate Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO.
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